A proposito di viaggi

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Questo è un cimelio del mio primo grande viaggio in U.S.A. del 1992, un lungo percorso on the road reso possibile grazie al mitico atlante stradale Rand McNally. Quello nella foto è la versione pocket, l’originale era grande quasi come un quotidiano; una pagina per ogni stato, due per quelli più grandi. Era l’era pre smartphone e ovviamente i navigatori satellitari li avevano solo i militari!

Un lunghissimo tour da New Orleans alla California… e ritorno, tre amici, una Pontiac, macchine fotografiche (non esistevano neppure i selfie, si facevano al massimo autoscatti) e il Rand McNally sempre a portata di mano; unica guida alla scoperta di quel continente fantastico. Il volo come unica prenotazione e tutto il resto all’avventura. Sporadiche telefonate in Italia (a carico del destinatario) da telefonici pubblici, che fanno davvero capire di parlare del secolo scorso… mi sembra di essere vecchio come il Colosseo 🙂

Fantastiche metropoli e piccole città affascinanti, ma da europeo non ero certo a digiuno di città bellissime. La natura, quella mi ha travolto, la cosa più vicina alla sindrome di Stendhal (applicata alla natura invece che a l’arte) che abbia provato in vita mia. Un susseguersi di panorami così diversi e belli da lasciare senza fiato. Gli spazi infiniti sotto un cielo immenso, solo allora ho capito il termine usato dai Nativi Americani “big sky country”, il paese del grande cielo. Dal delta del Mississippi al deserto del New Mexico, le pianure senza fine del Texas, poi la micidiale sequenza Bryce Canyon, Monument Valley, Grand Canyon, Deserto dipinto, Foresta pietrificata, i picchi oltre i 3000 metri della Sierra Nevada, Yosemite, i vigneti a perdita d’occhio della Napa Valley e infine la costa della California. Tutto senza aver prima sbirciato su Google Maps! Tutto era una “prima visione” tranne foto e articoli letti su riviste o libri, o le cose viste nei film.

Personalmente sono un fan della tecnologia, ma viaggiare così era un’altra cosa. Meno comodo e sicuro, ma decisamente con più fascino. Felice di aver vissuto l’esperienza.

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Morte di un Eroe

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La foto che ha attirato la mia attenzione mostra una ragazza con i tacchi, minigonna cortissima e mantello da Batman. Insieme a lei ci sono altri ragazzi con costumi da Superman, Capitan America e altri super eroi. Fin qui niente di strano, poi noto che sono di fronte ad una chiesa ed inizio ad essere curioso.

Nelle ultime settimane dedico a fine giornata, qualche minuto alla versione on line del Daily News di Los Angeles; sto facendo ricerche per il mio prossimo libro e vi assicuro che le news da L.A. spesso sono così assurde, che la penna del miglior scrittore non saprebbe fare di meglio!

La breaking news di oggi è l’ennesima disgrazia legata alle armi; un nonno è stato arrestato per aver lasciato incustodita la sua pistola (carica) in giro per casa. Il suo nipotino di 4 anni l’ha presa e con un singolo colpo ha ucciso la cuginetta di 2 anni. Tragedia evitabile che purtroppo si è realizzata e non sarà neppure l’ultima.

Ma torniamo ai super eroi davanti alla chiesa, speravo in qualcosa di più leggero e invece scopro che si tratta di un funerale: “Morte di un eroe” recita il titolo del Daily News. Sempre più curioso clicco sul titolo e vado a leggere. Pensavo fosse morto un vecchio attore o un super fan degli eroi Marvel o DC Comics, ma non era così, l’eroe si chiamava Anthony Avalos di anni 10 e la sua storia mi gira nella testa dal giorno che l’ho letta.

Lancaster, Los Angeles. Lontanissima dalle luci sfavillanti di Hollywood o dalla spiaggia di Santa Monica. Si tratta di una grande comunità di oltre centomila persone nell’estremo nord della galassia Los Angeles, vicino al deserto del Mojave.

Anthony Avalos era un ragazzino sorridente, come mostrano le foto del Daily News, e sembra fosse un bimbo sempre di buon umore, nonostante vivesse in una zona tutt’altro che ricca e anche molto pericolosa. Viveva con la madre, una ventottenne con altri otto figli e un compagno di 32 anni, che non è il padre di Anthony.

Il ragazzino nonostante i soli dieci anni di età, aveva le idee molto chiare, infatti con l’innocenza propria della sua età, aveva confessato in casa di aver capito che oltre le ragazze gli piacevano pure i ragazzi. Un coming out precoce e coraggioso, dalle conseguenze impensabili.

Il giorno del funerale un centinaio di persone seguono la messa alla San Junipero Serra Parish Church di Lancaster, e tra loro è arrivato dal Messico (dove vive) il padre di Anthony, Victor Avalos. Nonostante l’era Trump non sia benevola con i messicani, ha ottenuto un visto umanitario per partecipare alla sepoltura del figlio. Victor ha puntato il dito contro i servizi sociali, dato che in passato si erano già registrati episodi di violenza domestica.

Cosa è successo al giovane ed innocente Anthony?

Le indagini sono state molto veloci e dall’esito inequivocabile.

Il bambino fu portato in ospedale dopo una presunta caduta dalle scale, come la madre (anche se mi riesce difficile definirla così) dichiarò alla polizia.

Il giorno successivo il bambino è morto. La causa un trauma cranico con conseguente emorragia cerebrale, compatibile con una caduta. Tutto il resto però non era compatibile. Le bruciature di sigaretta, le ustioni dentro la bocca provocate con salsa bollente, i lividi provocati dalle cinghiate.

Confesso che chiusi l’articolo, schifato dalla cattiveria umana.

Il giorno dopo ripresi la lettura e andai a cercare altre informazioni.

Le torture si sono protratte per cinque giorni, nei quali il bambino doveva stare in ginocchio sul riso o al massimo in piedi, senza poter riposare. In questo calvario toccava a turno ai fratelli tenerlo d’occhio in questa assurda punizione, degenerata in una escalation di violenza senza senso.

Botte, frustrate, privazione del cibo e del sonno, torture da medioevo con sigarette e liquidi bollenti.

Non riesco ad immaginare cosa possa aver pensato Anthony, quando sua madre ed i suoi fratelli si sono trasformati da famiglia a carnefici!

Tutto questo per aver detto che gli piacevano anche i ragazzi.

Continuo a non riuscire a capire. Le parole di un bambino di dieci anni, perché solo di parole si tratta, possono scatenare anche una reazione sbagliata in un genitore. Se sei un troglodita ti può scappare un ceffone, se sei di idee ristrette lo puoi mettere in punizione e sperare che ci ripensi. Se sei una persona normale puoi restarci sorpreso, poi ci pensi e gli dici “ok, fai quello che ti senti di fare per essere felice”. Magari dopo un mese si sarebbe fidanzato con la più carina della classe. Era un bambino di dieci anni e diceva cose da bambino.

Invece il medioevo è entrato in quella casa di Lancaster, California. La terra dei sogni.

Con il passare dei giorni il quadro si è fatto sempre più chiaro e tutti i dettagli sono venuti a galla. Con otto figli, compresi in un range di età da uno a dodici anni, è difficile tenere un segreto ed il corpo martoriato di Anthony era lì ad urlare la sua verità.

Ad agosto ci sarà il processo, i due, che non so davvero come definire, chiamarli animali sarebbe un offesa per la bestia più feroce, sono accusati di omicidio e tortura e rischiano (e spero se li prendano tutti) 22 anni lei e 32 anni lui. I figli sono stati prelevati e saranno dati in affidamento, e immagino che i ricordi di quei cinque giorni li segneranno per tutta la vita.

Only in America, si dice di solito di fronte a eventi eccentrici a stelle e strisce. Così una foto con una sexy Batman mi ha portato a conoscere la triste storia del piccolo Anthony, un giovane eroe che ha pagato con la vita il suo spontaneo coraggio di dire quello che provava.

Stavolta non sono state le armi a portare via una vita, ma la stessa mano che fino al giorno prima lo nutriva e cresceva.

E il sogno americano continua, pensano a costruire muri e a tenere lontano l’isis e non vogliono rendersi conto che i loro ragazzi muoiono nelle loro case e nelle scuole, ed è sempre “fuoco amico”.

Forse è il momento di svegliarsi dal sogno.

Buon viaggio Anthony, spero tu stia giocando con gli angeli, questo mondo non ti meritava.

Strade Blu

Questa copia ingiallita dal tempo, sopravvissuta ai miei molteplici traslochi, è la prima edizione di uno splendido libro uscito 30 anni fa. “Strade blu – Un viaggio dentro l’America”.

Romanzo autobiografico di William Least Heat-Moon, pseudonimo di William Trogdon, che per omaggiare le sue origini in parte Sioux, ha scelto questo nome.

Il libro narra il viaggio intrapreso nel 1978 dall’autore, a bordo di un furgone battezzato “Ghost Dancing”, con pochi soldi in tasca, brutte esperienze alle calcagna e solo due libri a fargli compagnia: “Alce nero parla” di J. Neihardt e “Foglie d’erba” di W. Whitman. Anche se in effetti i libri sono tre, dato che un’importanza basilare (il gps all’epoca non era in uso) ce l’ha la guida stradale Rand McNally.

Le strade blu, nelle vecchie guide stradali, erano le strade provinciali, quelle da percorrere più lentamente, che regalano scorci di panorama e incontri che le grandi autostrade non rendono possibili. Proprio in queste strade lo scrittore si avventura in un lungo e affascinante viaggio circolare. Dal cuore del paese, la sua città Columbia in Missouri, alla costa Est, per attraversare tutto il continente dal lato Sud, vicino al confine con il Messico, fino alla California sulla costa opposta. Risalendo a Nord per fare tutta la parte successiva (Ovest – Est) lungo il confine con il Canada, fino al ritorno a casa.

Un viaggio costellato da incontri con personaggi molto particolari e dalla grande umanità.

Questo è un libro che ho amato molto, ed ho letto circa 4 anni prima del mio primo lungo viaggio in America, ed è inutile dire che è stato di grande ispirazione. Non solo per i miei viaggi, ma anche del libro che ho scritto, che pur trattando temi e luoghi diversi ne è sicuramente debitore.

Ho avuto la fortuna di fare quel primo viaggio nel 1992, quando l’era internet ed i telefonini non erano ancora al centro dell’universo. Per avere un’idea, in un viaggio di un mese avevamo prenotato (oltre al volo) solo l’auto e la prima notte in hotel. Tutto il resto all’avventura, anche noi con il nostro Rand McNally come guida stradale, la macchina fotografica sempre pronta e la meraviglia che ci scorreva davanti agli occhi dai vetri della Pontiac.

Le macchine sono un’altra caratteristica di quel viaggio, l’invasione delle macchine giapponesi ed europee non era ancora così forte e le strade erano ancora piene delle tipiche auto americane, quelle che per anni avevo visto solo nei film, e contribuivano a rendere lo scenario ancora più bello.

Con la globalizzazione tutti i luoghi hanno iniziato a somigliarsi sempre più; stesse catene di negozi, stessi abiti, auto. Tutti con lo smartphone in mano da mattina a sera.

Se avete voglia di viaggiare con la mente, tornare all’epoca dove anche le giornate sembravano più lunghe, e le storie si raccontavano faccia a faccia (invece che su Instagram), questa è sicuramente la lettura giusta.

Buon viaggio.

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